Convegno “Ricostruire la Città”: il testo del mio intervento

Oggi la Sala Consiliare del Municipio ha ospitato la prima giornata di lavoro del il secondo Convegno annuale della Società dei Territorialisti, dal titolo “Ricostruire la Città”, organizzato dalla Facoltà di Ingegneria dell’Università “Sapienza” di Roma. Questa prima giornata è stata interamente dedicata al quartiere di Corviale

ANTEFISSA

Questo è il testo del mio intervento d’apertura dei lavori:

Buon pomeriggio e grazie per aver scelto Corviale per come sede di questo convegno che prova a dare una risposta ad un quesito che interessa non solo urbanisti o studiosi del “bene comune” ma anche politici ed amministratori: lo svillupo urbano sta procedendo verso un destino che non si prefigura affatto roseo per le nostre città e per noi stessi e ben vengano quindi iniziative, come questa, che abbiano l’obiettivo di Ricostruire la Città.

I temi del convegno e l’ampia analisi che si offre come base per la “call for poster” mi hanno colpita molto, l’analisi socioeconomica svolta ha il merito di cristallizzare il problema e di chiarire in maniera netta l’evoluzione delle nostre città.

Dall’idea di città di Karl Marx, luogo di emancipazione, dove l’uomo libero dalla schiavitù delle campagne poteva realizzare l’idea di modernità, alla Città Preindustriale, esempio riuscito, seppur precario, di quel mix tra natura e cultura, capace di mescolare insieme e far convivere le risorse ambientali territoriali e paesistiche.

Con l’arrivo dell’industrializzazione e la nascita della Città Moderna e con essa l’idea che questo rappresenti il progresso, inizia l’urbanizzazione della campagna e viene meno lo scambio tra città e aree rurali; arriva la grande fabbrica fordista e il paesaggio urbano ne esce completamente modificato.

E’ con l’esplosione di questo modello che arriviamo alla realtà contemporanea, frutto di un processo di urbanizzazione globale che si sviluppa a macchia di leopardo, nato dalla de-territorializzazione della Grande Fabbrica che fagocita borghi, paesaggi, aree rurali, comunità e culture.

E’ l’economia che disegna i paesaggi, che travalica i confini. Le città crescono senza separazione; esiste un continuum, non c’è periferia, non ci sono più confini tra comuni, le tradizioni e le usanze si mescolano, le differenze non si colgono, l’identità si perde. Nascono le megalopoli dove vivono contraddizioni e dove i politici hanno smesso di governare i processi e gli urbanisti a proporre soluzioni nuove.

Guardando alla città di Roma questi sintomi sono molto evidenti:

– la redazione del piano regolatore è stato il frutto di un compromesso che ha preso atto dei processi che nel tempo si erano determinati nel nostro territorio, frutto delle incapacità politiche di pianificazione di sviluppo ordinato della nostra citta.
– l’idea di creare le Centralità, come urbanizzazione ordinata della “periferia”, luoghi dove creare nuovi insediamenti urbani dotati di servizi e di infrstrutture si è risolta in tanti quartieri dormitorio, strumenti di speculazione immobiliare dove nulla che era stato promesso è stato mantenuto. Completare questi luoghi, ormai “raggiunti” dalla città è il terreno sulla quale politica e tecnici devono confrontarsi.
– l’interno del G.R.A. è compeltamente urbanizzato, salvo le poche aree di riserva, le case all’interno si svuotano per gli affitti troppo alti, si vendono per la crisi economica ma nessuno riesce a permettersele e così i nuovi Romani vanno ad abitare all’esterno, nei paesi vicini con i quali ormai si perde la percezione del confine, la fine dell’uno e l’inizio dell’altro.
– i trasporti pubblici, diventano i moderni carri bestiame, per una città come Roma che vede ogni giorno entrare per lavoro/turismo tante persone quanto l’intero Molise, con linee vetuste, sempre in ritardo e sottodimensionate che costituiscono la miglior scusa per chi sceglie di entrare nella nostra città in auto, mentre ripete il mantra “prenderò l’autobus quando arriveranno puntuali” ai quali non si riesce a contrapporre una politica che abbia il coraggio e la credibilità per dire “intanto prendilo, a farlo arrivare puntale ci penso io”.

Voi oggi siete venuti a Corviale. Il Serpentone, se lo vedete dall’alto, nel tempo ha costruito un argine allo sviluppo della città.

Un argine potente, profondamente identitario, simbolo di una collettività, nato qui negli anni 70, lontano dalle città, con l’ambizione di essere una città nella città, un progetto incompiuto per l’incapacità politica, con il grande merito di contenere l’espansione della città, segnandone il confine. Alle sue spalle nulla si è edificato, ha difeso questo lato del nostro territorio dall’espansione urbana che nel tempo si è prodotta, da Roma sino al mare. Questa difesa non è solo sulla carta, non è basata sulla suggestione che l’edificio evoca. Basta tornare indietro di quattro anni, al 2010, quando qualcuno voleva buttarlo giù, usando come scusa la condizione dell’edificio o il malessere dalla popolazione, e con tutt’altro obiettivo: quello di sostituirlo con un nuovo borgo urbano, consumando tutto il verde naturale e protetto che è costituito dalla tenuta dei Massimi. Disegno folle dettato dal profitto e dal furore ideologico, al quale questo edificio e la sua gente, si sono opposti con decisione.

Gli interventi di cui abbiamo bisogno sono Rigenerezione urbana, lo sviluppo delle relazioni sociali, specialmente nelle nuove periferie, la coevoluzione tra abitato e tessuto rurale, la mobilità urbana, insieme alla promozione dei prodotti dei territori, alla ricostruzione dei confini naturali, la riscoperta delle tradizioni e del valore della diversità, la conoscenza ed il rispetto dell’identità, la valorizzazione della partecipazione civica.

E concludendo, ho letto che nel Comitato Scientifico della Società dei Territorialisti c’è anche Vandana Shiva, l’attivista e ambientalista indiana ed è con le sue parole che nuovametne vi ringrazio e vi saluto “L’unica via per costruire la speranza, è attraversa la Terra” e, forse, dal suo rispetto dobbiamo ripartire per “Ricostruire la Città”.